L’artista indigeno Archie Moore, appartenente alla First Nation e residente nel Queensland, è stato scelto per rappresentare l’Australia alla prossima Biennale di Venezia con la curatela di Ellie Buttrose. Nato nel 1970, (subito dopo il referendum che conferiva diritti di cittadinanza costituzionale alle popolazioni indigene australiane), Moore è famoso per le sue installazioni su larga scala che rivelano le tensioni tra le storie personali e ufficiali del passato coloniale australiano, tra questioni identitarie, dialogo interculturale e razzismo.
L’Austria ha scelto l’artista viennese Anna Jermolaewa per il suo padiglione. Nata in Unione Sovietica nel 1970, Jermolaewa è stata accusata di agitazione sovversiva ed è fuggita in Austria nel 1989. La sua opera multimediale, che si sviluppa tra fotografia, video e installazione, sonda le strutture sociali e politiche del quotidiano. Con la curatela dalla storica dell’arte Gabriele Spindler, Jermolaewa presenterà alla Biennale 2024 nuovi lavori che riflettono su diverse espressioni di resistenza non violenta.
Quella del 2024 sarà la prima Biennale della Repubblica del Benin. La mostra collettiva sarà curata dal curatore nigeriano Azu Nwagbogu, fondatore della Lago’s African Artists’ Foundation e direttore del LagosPhoto Festival dal 2010, noto per la sua difesa dell’arte e della fotografia africana contemporanea. Intitolata Everything Precious Is Fragile, la mostra esplorerà la ricca storia del Benin, toccando temi come la tratta degli schiavi, la spiritualità Vodun e la filosofia Gèlèdé, fino al “rimatrimonio”, un’interpretazione femminista della restituzione che chiede non solo il ritorno degli oggetti ma anche la filosofia e gli ideali beninesi pre-coloniali. Quattro gli artisti ospiti: Ishola Akpo, Moufouli Bello, Romuald Hazoumè e Chloé Quenum. Anche Yassine Lassissi, della Galerie Nationale du Bénin, e l’architetto Franck Houndégla faranno parte del team curatoriale.
A rappresentare il Canada sarà Kapwani Kiwanga. Ricercatrice di Antropologia, Kiwanga mescola estese ricerche d’archivio a performance, video, suoni, foto, sculture e installazioni per disvelare l’asimmetricità del potere e le sue ripercussioni interne, così come la diaspora africana e le tematiche di genere. L’artista nativa di Hamilton e nata nel 1978, scelta dalla National Gallery of Canada, è “interessata al ruolo dell’arte come catalizzatore per rivelare e affrontare narrazioni socio-politiche alternative e spesso messe a tacere ed emarginate che fanno parte delle nostre storie condivise”, ha commentato il curatore del Padiglione Canadese Gaëtane Verna.
Il Padiglione della Corea del Sud sarà rappresentato da Koo Jeong-a. Nota per i suoi ambienti coinvolgenti, eccentrici e multisensoriali, l’artista nata nel 1967 porterà a Venezia Odorama City, che evocherà “ricordi nazionali” attraverso elementi invisibili come profumi, temperature e suoni. Il progetto sarà affidato alla curatela condivisa di Jacob Fabricius, direttore dell’Art Hub Copenhagen e già direttore alla Biennale di Busan, e Seolhui Lee, curatrice della Kunsthal Aarhus in Danimarca, cureranno congiuntamente la mostra.
L’artista Vlatka Horvat rappresenterà la Croazia con un progetto intitolato By the Means at Hand. Si tratta di un riferimento al quel modo improvvisato di trasportare oggetti, pacchi, lettere, denaro attraverso amici e familiari. Curato dalla storica dell’arte Antonia Majača, il Padiglione Croato esporrà quindi il lavoro di artisti “stranieri” consegnati a Venezia con mezzi improvvisati.
L’Estonia ha nominato Edith Karlson per rappresentare il Paese. L’artista, classe 1983, è diventata famosa per le proprie sculture di cani, orsi, leoni, uccelli e altri animali, che appaiono allegoricamente o simbolicamente. Karlson generalmente presenta il proprio lavoro come un’installazione, coinvolgendo l’intero spazio espositivo. Scelta dal Centro Estone per l’Arte Contemporanea e dalla direttrice Maria Arusoo, l’artista con base a Tallinn non ha ancora selezionato un titolo per la mostra, a cui manca ancora una curatrice e/o un curatore, anche se stando alle anticipazioni il Padiglione sarà partecipativo e si baserà sulla sua mostra del 2021 al Museo d’Arte Contemporanea dell’Estonia in cui ha trasformato tre piani di un ambiente in un luogo dove sperimentare una “forma alternativa di esistenza”.
Le Filippine saranno rappresentate dall’artista classe 1980 Mark Salvatus, le cui opere puntano a reinterpretare la politica urbana quotidiana e le narrazioni della storia nazionale con il coinvolgimento del pubblico (pratica che lui chiama Salvage Projects). Con il titolo Kabilang-tabing ng panahong ito (Dietro il sipario di quest’epoca) – dal discorso del leader religioso filippino Hermano Pule, che guidò il movimento di resistenza contro la chiesa cattolica spagnola durante il dominio spagnolo – la mostra curata da Carlos Quijon Jr. sarà incentrata sull’etno-ecologia del Monte Banahaw, al confine della città natale dell’artista a Lucban, esplorando i temi del misticismo, del passato e della modernità.
La Finlandia ha selezionato le artiste Pia Lindman, Vidha Saumya e Jenni-Juulia Wallinheimo-Heimonen per esporre all’interno del suo Padiglione, commissionato e prodotto da Frame Contemporary Art Finland. I curatori Yvonne Billimore e Jussi Koitela hanno anticipato una “collaborazione poliedrica che reinventa il padiglione così come il tipo di arte, corpi ed esperienze che il padiglione può supportare”.
La Francia ha nominato lo scultore Julien Creuzet per il suo Padiglione Nazionale a Venezia. L’artista, nato nel 1986 a Le Blanc Mesnil, esplora spesso la propria identità franco-caraibica con l’utilizzo di materiali industriali, corde e plastica. “Il suo lavoro singolare e il suo dono per la letteratura orale si nutrono di creolizzazione riunendo una diversità di materiali, storie, forme e gesti. Le questioni sollevate dalle sue opere troveranno, al Padiglione francese a Venezia, una risonanza particolarmente importante con quelle del nostro tempo”, hanno dichiarato in un comunicato gli organizzatori del Padiglione, che hanno aggiunto: “Julien Creuzet è stato scelto anche per gli orizzonti che disegna, andando oltre l’opposizione tra identità e universalità, dimostrando che nel piegarsi dell’arte, gli echi poetici e artistici tracciano sempre risposte tanto belle, gioiose e rigeneranti quanto inaspettate”. L’artista ha nominato la coppia di curatrici che lo accompagnerà nel 2024: sono Céline Kopp, nuova direttrice del centro d’arte di Grenoble Le Magasin, e Cindy Sissokho, curatrice della Wellcome Collection a Londra.
È stata scelta l’artista Yuko Mohri per rappresentare il Giappone a Venezia. Nata nel 1980 a Kanagawa, Mohri si concentra nelle proprie opere sulle varie forme di interconnessione, creando flussi di acqua ed elettricità dentro installazioni di grandi dimensioni. Le sue opere sono apparse di recente alla 14a Biennale di Gwangju. La sua mostra – che sarà curata da Sook-Kyung Lee, curatore senior di arte internazionale alla Tate Modern – recherà dei riferimenti alla pandemia, alle inondazioni di Venezia del 2019 e alle proteste climatiche, seguendo la falsa dicotomia, “che cosa ha più valore, l’arte o la vita?“. L’opera assumerà la forma di frutta in decomposizione attaccata a elettrodi che generano luce e suono.
Sarà l’artista femminista Eimear Walshe a rappresentare il Padiglione dell’Irlanda alla Biennale Arte 2024, con la curatela affidata a Sara Greavu e al Project Arts Centre. Walshe, selezionata con un bando aperto da Culture Ireland in collaborazione con l’Arts Council irlandese, pone al centro della propria pratica artistica lo studio della teoria queer e dell’epistemologia femminista, mettendo queste riflessioni al servizio di una folta produzione di sculture, pubblicazioni, performance e conferenze. L’artista, nata nel 1992, porterà a Venezia un’installazione video multicanale che riprende un gruppo di artisti guidati dal coreografo Mufutau Yusuf; un’opera scritta insieme alla compositrice Amanda Feery; e una scultura immersiva che andrà a evocare uno spazio domestico. Questo spazio, realizzato a margine della grave crisi immobiliare in corso in Irlanda, vuole diventare un “cantiere di possibilità”, che sia cioè allo stesso tempo uno spazio dove risolvere gli antagonismi generazionali e di classe dell’Irlanda e uno spazio di cura, che mostri tuttavia i resti della distruzione e della morte causati dalle ondate di sfratti. “Lo straordinario lavoro di Eimear Walshe parla di e da una generazione precaria, e propone nuovi modi per rivendicare un senso di parentela, luogo e amore”, spiega la curatrice Sara Greavu. “Offrono una nuova sintesi culturale che collega il nostro momento contemporaneo al passato, in particolare le eredità di genere e sessuali legate alla attivismo fondiario e abitativo in Irlanda, compresi i compromessi fatti alla fine degli anni ottanta dell’Ottocento e l’arte di governare dell’inizio del XX secolo”.
L’artista Trevor Yeung rappresenterà Hong Kong a Venezia. La selezione è stata fatta da M+ – la cui curatrice Olivia Chow seguirà il progetto, e dall’Hong Kong Arts Development Council . Appassionato di ecologia botanica e orticoltura, Yeung utilizza nelle proprie installazioni piante e oggetti naturali per riflettere sull’artificialità, e sulle risposte emotive e comportamentali. “Mentre il mondo si adatta alla riapertura dei confini e a nuove modalità di interazione dopo la pandemia, è particolarmente significativo per me presentare un nuovo lavoro influenzato dalle culture incrociate e dalle mie immediate vicinanze, per portare la mia visione all’estero e connettermi con la comunità artistica internazionale”, ha commentato l’artista.
L’artista libanese Mounira Al Solh rappresenterà il Padiglione del Libano alla Biennale di Venezia. Anche a causa del trasferimento forzato da Beirut durante le guerre civili libanesi, le sue opere spesso affrontano questioni di spostamenti forzati, insieme a temi riguardanti la condizione femminile. L’artista, nata nel 1978, si muove liberamente tra pittura, performance, tessuti, video e installazioni e nel suo recente lavoro A day is long as a year (2022) ha collaborato con 31 donne da Afghanistan, Iran, Libano, Turchia, Paesi Bassi e Sud Africa per creare una tenda iraniana dell’era Qajar dentro cui erano appese rappresentazioni ed evocazioni dell’esperienza migratoria delle donne. La sua mostra a Venezia sarà curata da Nada Ghandour.
Sarà il duo artistico Pakui Hardware – composto dall’artista e scrittrice Neringa Cerniauskaite e dell’artista Ugnius Gelguda e fondato nel 2014 – a rappresentare la Lituania a Venezia. Con la curatela di Valentinas Klimašauskas e João Lai e la gestione del Museo Nazionale d’Arte Lituano (con commissario Arūnas Gelūnas), i due creeranno un’installazione cinetica e coinvolgente con opere della pittrice modernista lituana Marija Teresė Rožanskaitė, in un percorso che promette di parlare delle “infiammazioni” dei “corpi umani e planetari”.
Sarà l’artista Darja Bajagić a rappresentare il Montenegro con il progetto Takes an Island to Feel This Good, a cura di Ana Simona Zelenović. Ad annunciare la decisione è stato il curatore italiano Daniele Capra, membro della giuria internazionale del Museo d’arte contemporanea del Montenegro, il cui direttore Vladislav Scepanovic è anche commissario del Padiglione del Paese (che potrebbe essere in una nuova location all’Arsenale). Nata nel 1990 a Podgorica ma cresciuta negli Stati Uniti, Bajagić affronta con questa mostra la dura eredità dell’isola di Mamula, il cui storico campo di prigionia è stato recentemente trasformato in un hotel di lusso, in una ricerca che unisce passato e presente, esaminando la memoria collettiva attraverso arte pittorica e fotografia.
La Nigeria sarà rappresentata da otto artisti: Yinka Shonibare, Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe, Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Precious Okoyomon e Fatimah Tuggar. Il secondo Padiglione mai presentato dalla nazione alla Biennale di Venezia sarà curato da Aindrea Emelife, già curatrice di arte moderna e contemporanea al Museum of West African Art di Benin City. Con il titolo Nigeria Imaginary, la mostra “esplorerà diverse prospettive e idee costruite, ricordi e nostalgia per la Nigeria, con una portata intergenerazionale e intergeografica”.
Al Padiglione di Singapore troveremo poi la mostra Seeing Forest concepita dall’artista interdisciplinare del 1983 Robert Zhao Renhui, con la curatela di Haeju Kim (1980, Corea del Sud). L’esposizione propone un’esplorazione evocativa delle “foreste secondarie”, cioè ricresciute da terreni deforestati dall’uomo per farne piantagioni e terreno da allevamento e per l’edilizia. Spesso messe in pericolo dalle specie animali e vegetali invasive introdotte a Singapore nel diciannovesimo secolo, questi “spazi di transizione” tra le foreste e le aree altamente urbanizzate offrono spunti per creare nuovi modelli di coesistenza tra umani e non umani, oltre che occasioni di studio della colonizzazione e delle migrazioni. Attraverso un assemblaggio di opere video e installazioni scultoree, la mostra esplora le storie meno conosciute di intersezione, analizzando dei momenti di apparente dipendenza tra la società umana e la natura, offrendo al contempo un omaggio alle foreste libere che esistono già lungo i margini delle vite urbane. “Ogni foresta è liminale, anche quella che cresce nel centro della città. Trascurato e smaltibile nella pianificazione urbana, rimane un universo a sé stante”, dicono dal Padiglione, organizzato dal Singapore Art Museum (SAM) su spinta del National Arts Council della città-stato asiatica.
Sarà Sandra Gamarra Heshiki, con la curatela di Agustin Pérez Rubio, a rappresentare il Padiglione Spagnolo. Nata a Lima nel 1972 e di etnia peruviana-giapponese, Gamarra Heshiki sarà la prima artista nata all’estero a rappresentare il Paese europeo. Con una pittura prevalentemente figurativa che sfida i concetti di appropriazione e consumismo, l’artista – che ha già partecipato alla 53a Biennale di Venezia, alla 29a Biennale di San Paolo e all’11a Biennale di Berlino, porterà a Venezia una Pinacoteca Migrante.
L’artista Jeffrey Gibson rappresenterà gli Stati Uniti a Venezia: si tratta del primo artista indigeno a rappresentarli nei 129 anni di storia della Biennale. Il 51enne Gibson, di discendenza Cherokee e membro della Mississippi Band of Choctaw Indians, utilizza la pittura, l’artigianato e il collage come mezzi per scomporre la cultura nativa contemporanea, tenendo un occhio critico sulla contemporaneità e puntando a creare connessioni tra le persone con la propria opera. Anche la co-curatrice della mostra Kathleen Ash-Milby – che lavorerà a fianco della curatrice indipendente Abigail Winograd – è nativa (della Nazione Navajo), e cura la sezione di Arte Nativa Americana al Portland Art Museum. “Nel 1932, una delle sale era dedicata all’arte dei nativi americani, ma è stato realizzato in quello che direi fosse un tipo di presentazione molto etnografico”, ha ricordato Ash-Milby. “Raggruppava insieme i nativi e non si concentrava tanto sulla loro individualità. C’erano tappeti Navajo sul pavimento. C’erano esposizioni di gioielli. Molti degli artisti non avevano un nome”.
Sarà l’artista svizzero-brasiliano Guerreiro do Divino Amor l’artista che rappresenterà la Svizzera alla Biennale. Incaricato dalla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia, l’artista del 1983 porterà un monumentale progetto che esplora le immagini delle mitologie politiche e il loro utilizzo. Super Superior Civilizations punta a proporre una visione critica (e a tratti umoristica) del linguaggio visivo dei miti nazionali, esplorandone la carica culturale, la gerarchizzazione e la strumentalizzazione. Attraverso questi strati di connettività, Guerreiro do Divino Amor – che ha scelto come curatore il direttore del Centre d’Art Contemporain e della Biennale dell’Immagine in Movimento di Ginevra Andrea Bellini – ritaglia gli intrecci dell’esistenza globalizzata che vengono influenzati da aspetti come la distorsione postcoloniale, andando così a scrivere un altro capitolo della monumentale saga Superfictional World Atlas, iniziata nel 2005.
Il video artista Yuan Goang-Ming rappresenterà Taiwan a Venezia. Il linguaggio artistico di Yuan, nato nel 1965, esplora spesso le condizioni della modernità e gli ambienti urbani globalizzati. Per la Biennale, Yuan si concentrerà sulla politica della mappatura, un tema caldissimo tra Taiwan e Cina, nonché sul rapporto tra guerra e vita quotidiana. La mostra sarà curata da Abby Chen, responsabile dell’arte contemporanea e curatrice senior del’Asian Art Museum di San Francisco, che ha commentato: “Gli esseri umani comprendono la storia non solo sulla base di registrazioni cronologiche, ma in un modo reale quanto l’odore nell’aria: viviamo tutti nella storia. In un’era piena di incertezze e disaccordi, lavoreremo insieme per esplorare il tempo come habitat fluido e la costanza come forma di resistenza”.
Gülsün Karamustafa rappresenterà il Padiglione della Turchia all’Arsenale. Curata da Esra Sarıgedik Öktem, già collaboratrice di Karamustafa, la mostra calcherà il solco della pratica artistica di Karamustafa, nata nel 1946 ad Ankara, sulla Turchia contemporanea e sull’ingiustizia storica. I suoi lavori, che spaziano dalle installazioni all’assemblaggio, dalla scultura e pittura ai video, l’hanno resa una delle figure di spicco della scena artistica contemporanea in Turchia. “La sua pratica artistica stratificata affronta le questioni più urgenti del nostro tempo come lo sfollamento e la migrazione, l’esilio e l’etnicità, la sessualità e il genere”, ha commentato Bige Örer, direttore della Biennale di Istanbul.
Il Padiglione dell’Ungheria sarà rappresentato dall’artista Marton Nemes, nato a Budapest e residente a Londra. Tipiche del lavoro di Nemes sono le sue tele colorate e astratte che rappresentano l’architettura urbana ma anche scene musicali della sottocultura. Per la Biennale, con la curatela di Rona Kopeczky, Nemes presenterà un’opera multimediale di grandi dimensioni che utilizza le caratteristiche spaziali del padiglione ungherese, commissionato dalla storica dell’arte ungherese e direttrice del Museo Ludwig di Colonia Julia Fabenyi.