Esiste un luogo, a Venezia, dove il concetto di spazio abitabile ispira da mesi una singolare performance: è l’appartamento in affitto, situato all’uscita posteriore dell’Arsenale, che ospita Home Stage, il Padiglione Estonia della Biennale di Architettura 2023. Molto più di una semplice casa, è qui che si compie un’indagine approfondita – architettonica, artistica e sociale – sulla complessa dualità dello spazio abitabile. È qui che le pareti che separano il domestico dal pubblico si sgretolano: la casa stessa diventa un organismo spaccato tra il privato e il suo valore di scambio. In un affascinante susseguirsi di eventi, nove performer estoni (selezionati tramite casting su circa 125 candidature) prendono residenza un mese dopo l’altro nell’appartamento, mentre questo cambia e la routine quotidiana si converte in una durational performance che ha reso la dimora un palcoscenico. O, come sostengono i curatori (Aet Ader, Arvi Anderson e Mari Möldre, del team b210 Architects), “una situazione liminale tra la vita reale e la performance”. In questo contesto, la residenza temporanea rivela come lo spazio diventi non solo un luogo in cui si vive, ma anche un oggetto di valore commerciale, mettendo alla prova la nostra percezione dell’abitare. Ad aprirci le porte di questo progetto espositivo, svelandoci cosa sta avvenendo nell’interno veneziano, è uno dei curatori, Aet Ader.
Intervista ad Aet Ader, co-curatore del Padiglione Estonia
Da Shakespeare a Pirandello, i riferimenti alla vita come palcoscenico sono molti e, come in questo caso, il confine tra performance e spazio privato sfuma. Da dove nasce “Home Stage”?
Il nostro obiettivo era mostrare la crisi abitativa e allo stesso tempo non fare una mostra tradizionale. Come potremmo parlare di alloggi senza persone vere? La scorsa primavera, quando è stato annunciato il concorso curatoriale per il padiglione estone, eravamo a Venezia al vernissage della Biennale d’Arte. A un certo punto, visitando diverse mostre, siamo finiti nella casa di un artista di origine svedese. Siamo stati davvero ispirati dall’esperienza personale, specialmente considerando il contrasto significativo tra le mostre anonime che avevamo visitato per alcuni giorni e l’accoglienza a casa: era veramente qualcosa di diverso. A quel punto sapevamo già che il concept che stavamo per proporre avrebbe coinvolto una persona reale, che vive in una vera e propria abitazione a Venezia.
Cos’ha “in più” una casa?
Sono sempre stato attratto dalle questioni abitative, ma quello che sembrava più strettamente interessante era la dualità tra casa e bene immobile, come due prospettive della stessa cosa. Il punto di vista sulla casa è diverso: quando i prezzi degli immobili salgono è un bene per i proprietari, ma è l’opposto per gli affittuari. In fin dei conti tutti devono vivere da qualche parte, ma stanno lentamente emergendo esempi, anche a Tallinn, la nostra città, dove lo spazio abitabile non ha più bisogno di abitanti. Il guscio fisico, o architettura, ha la funzione di un pilastro di investimento. Una persona vive nella sua casa ed è, allo stesso tempo, il suo direttore finanziario; si garantisce un rifugio accogliente e si assicura che il progetto “casa” non sia in deficit, affinché l’equilibrio della vita non collassi. Da questo punto di partenza abbiamo sviluppato il concetto di Home Stage, che ci invita a riconsiderare i valori e le priorità che modellano il nostro ambiente costruito. Ci sfida a riflettere sui modi in cui le nostre case non sono soltanto luoghi di riparo e comfort, ma anche risorse, beni di consumo, investimenti. Questo evidenzia la dualità e le tensioni tra l’immagine idealizzata di una casa come santuario e la dura realtà di un’economia di mercato che spesso tratta l’alloggio come un business speculativo.
Per esplorare un problema architettonico così complesso avete adottato il mezzo artistico. Come mai?
Penso che ci sia una linea sottile tra arte e architettura al giorno d’oggi. Ancora di più alla Biennale di Lesley Lokko. Potremmo sostenere che Fundamentals del 2014 di Koolhaas fosse una vera mostra sull’architettura, ben fatta: nulla da criticare in proposito. Ma in generale, penso che non sia necessario vedere il mondo in questi rigidi compartimenti tra le discipline, e non dovremmo categorizzare mostre o padiglioni in base a quanto vi sia di “architettura”. Ad esempio, il nostro team è composto da tre architetti, due direttori di performance, un compositore, uno scenografo, uno scrittore, due grafici, un designer IT, un project manager e così via. Nove performer vivono nel padiglione nel corso della Biennale. Allora, che disciplina è? Posso assicurarti che la collaborazione è stata ricca di idee e meravigliosa!
Il caro affitti e la situazione abitativa a Venezia e in Estonia
La crisi abitativa è sicuramente un problema critico a Venezia, come in molte città del mondo. Qual è lo scenario delle città dell’Estonia?
Come risultato della diffusa ondata di privatizzazioni e restituzioni degli anni Novanta (uno strascico dell’era sovietica), in Estonia oltre l’80% della popolazione è proprietario di una casa. Possedere un immobile con un valore sempre crescente è apparentemente una situazione vantaggiosa per tutti: avere un posto per realizzare la propria indipendenza, status, identità, privacy e, allo stesso tempo, garantirsi un senso di sicurezza economica. L’apparente “realtà e affidabilità” del settore immobiliare l’ha reso la principale forma di investimento per gli estoni. Il modello predominante per la costruzione di nuove abitazioni avviene attraverso un imprenditore privato, su una struttura basata sul debito: l’acquirente prende un prestito per pagare l’imprenditore edile, il quale a sua volta paga il suo debito. In questo modo, una grande parte dell’Estonia viene costruita a spese del futuro.
C’è un rapporto tra Venezia e il vostro Paese? E quali domande sul mercato immobiliare volete suggerire con “Home Stage”?
Da un punto di vista abitativo, Venezia è un nodo gordiano. Le biennali sono la salvezza e la pena di Venezia allo stesso tempo. Penso che ci vorrebbero pagine per analizzare la situazione abitativa locale, ma è chiaro che ci sono problemi enormi; ne abbiamo discusso anche nel nostro team. Citiamo una questione morale, che ci pone anche in una situazione controversa: come possiamo, noi stranieri, venire a Venezia, affittare un appartamento e pagare somme enormi per soli 6 mesi? Significherebbe che questo appartamento non è disponibile per i residenti locali durante quel periodo. Ma ci sarebbero comunque dei residenti locali disposti a affittarlo a questo costo? Dove possono permettersi di vivere i residenti locali, in tal caso? È etico il format in costante espansione della Biennale nei confronti della città di Venezia? Alla fine abbiamo deciso comunque di andare a Venezia e allestire il padiglione. Sarebbe stato un grande gesto non andare, ma suppongo che sarebbe stata soltanto un’azione marginale. Abbiamo bisogno di più discussioni e di azioni strategiche reali tra l’organizzazione della Biennale, il Comune di Venezia e le istituzioni dei paesi partecipanti su questi temi.
Come potrebbe evolvere questa ricerca?
Personalmente, mi sono interessato al tema dal 2010, con la mia tesi di laurea in architettura sulle problematiche dell’edilizia abitativa in Estonia. Da allora ho ascoltato e preso parte a conferenze e incontri. Ma noto chiaramente che una discussione accademica globale è sicuramente intrigante dal punto di vista intellettuale, ma la vita reale si svolge a livello locale. La questione è particolarmente rilevante in Estonia, dove non esiste una strategia nazionale in materia di alloggi: la politica abitativa e le questioni relative agli alloggi sono lasciate ai cittadini stessi. Ad esempio, l’Estonia non ha firmato il punto 31 della Carta sociale europea, “Tutti hanno diritto all’abitazione”. È importante sollevare la discussione nel nostro Paese, poiché siamo un po’ indietro. L’Estonia ha bisogno di una prospettiva politica su questo argomento, almeno un documento a livello governativo, che potrebbe portare a un dibattito politico sul tema. E, speriamo, a visioni che dovranno essere attuate. Al momento non abbiamo nulla!
Vivere per sei mesi nel padiglione estone della Biennale 2023
In “Home Stage”, che tipo di rapporto si stabilisce tra visitatore, artista e spazio vitale?
Arolin Raudva, la prima artista residente, ha affermato che “sia i performer che i visitatori hanno spazio per il caso e le sorprese, la fragilità naturale e il piacevole disagio sono preservati. Non si tratta tanto di messa in scena e performance, quanto piuttosto della continua creazione di spazio, dell’essere nello spazio e di essere lo spazio. L’atmosfera del padiglione estone è influenzata da ogni ospite, che diventa anch’esso parte dell’esperienza. È un interessante dialogo su come siamo responsabili dello spazio che portiamo con noi, su come ci comportiamo quando i nostri spazi si incontrano o quando entriamo nello spazio di qualcun altro”. Oltre alla performance, abbiamo dedicato molto impegno all’arredamento, solo all’apparenza generico: l’obiettivo era renderlo un po’ inquietante. Gli interventi nello spazio domestico attirano l’attenzione su parole chiave come speculazione, vacanza, svalutazione, personale, unico, dimora. Ogni oggetto in questo spazio residenziale, che tu lo consideri una casa o una casa allestita, è attentamente ponderato e ha un ruolo da svolgere. Ogni ospite – affittuario, proprietario, investitore, residente, occupante – porta la propria esperienza.
Ci sono state situazioni impreviste in questi mesi? Quali comportamenti, reazioni e domande dei visitatori state rilevando?
Le persone condividono esperienze, storie molto personali e preoccupazioni sulle loro case. Alcune persone di New York dicono che l’affitto per l’appartamento di una coppia può essere di 4.000 dollari. A Berlino, 750 euro più utenze. Questa era la nostra intenzione: far pensare e rendere consapevoli delle politiche immobiliari locali. Dove possono vivere le persone? Qual è il quadro generale?
Raccontateci una giornata tipo
Ogni performer ha il suo programma giornaliero segnato sulla parete. Ad esempio, fanno esercizio, meditano – a volte con gli ospiti – poi fanno una doccia (con un microfono, quindi tutto quello schioccare dell’acqua e il canto sono amplificati nella stanza principale). Utilizzano testi scritti da Jan Kaus. Fanno sessioni improvvisate con le persone e permettono loro di parlare delle loro case. Arolin, ad esempio, ha raccontato delle sue case e ha chiesto ai visitatori di entrare nelle loro. Gli ospiti chiudono gli occhi e poi descrivono le loro case o il quartiere in cui vivono. Arolin ha anche raccolto sogni: ha chiesto alle persone di parlare delle case dei loro sogni. I performer cercano di far sì che le persone si prendano del tempo libero; chiunque è il benvenuto nell’appartamento per riposarsi e sentirsi a proprio agio.
Chiara Clerici