“Do Woman have to be naked to get into the Met Museum?” (“Le donne devono essere nude per entrare al Met Museum?”) è il titolo del cartellone pubblicitario – passato alla storia – realizzato nel 1989 dalle Guerrilla Girls, collettivo di artiste femministe la cui identità è mantenuta anonima indossando maschere con il volto di gorilla. Il cartellone – commissionato dal Public Art Fund di New York ma poi rifiutato – riporta anche i seguenti dati: “Meno del 5% degli artisti presenti nelle sezioni di arte moderna sono donne, però l’85% dei nudi sono femminili”. Ciò che le Guerrilla Girls denunciano con il loro manifesto – e con la loro pratica fin dal 1984, anno di nascita del collettivo – è l’esclusione delle donne dal sistema dell’arte ufficiale, al contrario della imperante presenza maschile. Nonostante negli anni il dibattito non si sia mai assopito, anzi negli ultimi tempi è più caldo e urgente che mai, per molti aspetti pare che il mondo odierno non sia poi così molto distante e dissimile da quello del passato; inspiegabilmente, anzi, sembra che siano più evidenti i casi di gender gap (ovvero divario tra generi, che poi si traduce in disuguaglianza in ambito sociale e professionale tra uomini e donne).
Cosa si intende per “questione di genere”?
Prima di addentrarci nell’analisi del fenomeno nel mondo della cultura, proviamo a capire cosa si intende per “questione di genere”. Consultando il sito della Treccani, ci imbattiamo in un articolo di Carmen Leccardi sul tema che sottolinea come il termine “genere”, oggi, rimandi a “un’assenza, quella di inclusione ed eguaglianza del genere femminile in rapporto a quello maschile. Dunque, rimanda alle relazioni di potere tra maschile e femminile, alla loro evoluzione storica e alle diverse forme politiche, giuridiche, economiche e culturali che, a seconda dei contesti di tempo e di luogo, queste relazioni hanno assunto”. Il tema della sperequazione tra generi non riguarda solo il gap tra uomini e donne, ma tocca anche le persone LGBTQIA+, essendo entrambe le questioni la conseguenza di stereotipi radicati in una società dal DNA ancora fortemente patriarcale e sessista. Questa constatazione ci conduce quindi a una domanda: nel mondo della cultura esiste o può essere raggiunta l’equità di genere?
La disparità di genere nel mondo della cultura
Negli ultimi anni si sono succeduti diversi studi che attestano come nel mondo dell’arte le donne facciano ancora fatica a essere presenti come e quanto gli uomini. Nelle collezioni di musei, nelle mostre, nel mercato, nei ruoli manageriali (citiamo, tra tutte, la ricerca condotta da Renée Adams, Roman Kräussl, Marco Navone e Patrick Verwijmeren nel 2017 dal titolo Is Gender in the Eye of the Beholder? Identifying Cultural Attitudes with Art Auction Prices e quella pubblicata da Koones nel 2020; ricordiamo inoltre un importante saggio che ha fatto da apripista al tema, ovvero Why Have There Been No Great Women Artists? di Linda Nochlin pubblicato nel 1971). Allargando invece lo sguardo a una prospettiva generale, stando al Global Gender Gap Report 2022 redatto dal World Economic Forum (che ogni anno fornisce una relazione sulla portata del divario di generi in tutto il mondo), nel 2022 “il gender gap globale è stato colmato del 68,1%. Con il ritmo attuale, ci vorranno 132 anni per raggiungere la piena parità. Ciò rappresenta un leggero miglioramento rispetto alla stima del 2021 (136 anni per giungere alla parità)”. Eppure va peggio rispetto al 2020, quando veniva calcolato che per colmare il gender gap sarebbero stati necessari 100 anni. Sicuramente ha influito su questo processo l’avvento della pandemia, rallentandone notevolmente il percorso, come sottolineato anche dal documento redatto dalla Commissione Europea nel dicembre 2020, dal titolo Presidency Conclusions on gender equality in the field of culture, secondo cui “la crisi causata dalla pandemia di COVID-19 ha avuto un impatto estremamente duro sui settori culturali e creativi, e vi è il rischio di esacerbare gli stereotipi di genere e la disuguaglianza strutturale di genere”, sottolineando che “le misure per la ripresa di tali settori dovrebbero essere viste come un’opportunità per promuovere l’uguaglianza di genere”. Ritornando al report del World Economic Forum, il Paese più paritario al mondo (per tredici anni consecutivi) è l’Islanda, seguita da Finlandia, Norvegia, Nuova Zelanda, Svezia, Ruanda, Nicaragua, Namibia, Irlanda e Germania. L’Italia? Si colloca al 63esimo posto a livello mondiale e al 25esimo a livello europeo.
La disparità di genere nel mondo della cultura italiano
Risale al 2021 la nascita dell’Osservatorio sulla parità di genere del Ministero della Cultura, strumento attraverso il quale l’istituzione si adopera per colmare il gender gap nel mondo della cultura italiano. Nel 2022 l’Osservatorio (costituito su esempio dell’Observatoire de l’égalité entre femmes et hommes dans la culture et la communication del Ministero della Cultura francese, primo esempio in Europa) ha pubblicato il suo primo rapporto, i cui dati sono frutto di audizioni che hanno coinvolto “numerose realtà pubbliche e private del mondo culturale italiano”. I temi trattati riguardano “la vita quotidiana della donna che lavora nel mondo artistico e culturale: la maternità, il ruolo di cura, i trattamenti sessisti e violenti nel mondo pubblico e privato della cultura e dell’arte, le differenze di stipendio a lavoro uguale, i ruoli di vertice contro i ruoli esecutivi affidati a uomini e donne, le situazioni di precariato, la percezione del ruolo femminile, le formule sessiste utilizzate in ambienti di lavoro, ma anche sui giornali, sui social media e in televisione”. La costituzione dell’Osservatorio, continua il rapporto, “sta determinando la fuoriuscita dal silenzio di molte donne protagoniste del mondo della cultura e dello spettacolo. La possibilità di esporre ricerche e analisi prodotte nel tempo e sinora rimaste in gran parte oscurate, la rivendicazione della propria consapevolezza e del proprio ruolo, la richiesta di sostegno e di diritti, il desiderio e la determinazione a cambiare le cose rappresentano un importante momento di crescita del settore culturale in sé”.
Ed estendendo l’indagine alle tematiche LGBTQIA+?
Se sulla disparità di genere tra donne e uomini esistono fitta letteratura e documenti ufficiali, diventa più difficile trovare simili dati per quanto concerne le persone LGBTQIA+. Riflettendoci, quando si parla di “gender gap”, in realtà si dovrebbe fare riferimento a tutte le forme di sperequazioni, dato che queste hanno origine da mentalità e atteggiamenti discriminatori. E quello della cultura, per sua stessa visione e missione, è (o dovrebbe essere) un mondo inclusivo fautore e portatore di messaggi inclusivi. “Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità”, è uno dei passaggi chiave della nuova definizione di museo che l’ICOM – International Council of Museums (organizzazione internazionale fondata nel 1946 che rappresenta i musei e i suoi professionisti) ha elaborato durante la 26esima Assemblea Generale Straordinaria tenutasi a Praga nell’agosto 2022, dove “inclusione” e “diversità” assumono un ruolo determinante nelle politiche delle istituzioni museali. Volgendo lo sguardo all’Italia, negli ultimi mesi il nostro Paese non si è particolarmente distinto nella lotta per i diritti civili: risale allo scorso aprile 2023 la condanna del Parlamento Europeo nei confronti dell’Italia per retorica anti-gender e anti-LGBTQIA+, con un emendamento proposto dai Verdi e passato con 282 voti a favore, 235 contrari e 10 astenuti. Secondo il testo, l’Europarlamento “esprime preoccupazione per gli attuali movimenti retorici anti-diritti, anti-gender e anti-LGBTQIA+ a livello globale, alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche nell’UE; ritiene che tali movimenti ostacolino notevolmente gli sforzi volti a conseguire la depenalizzazione universale dell’omosessualità e dell’identità transgender, in quanto legittimano la retorica secondo cui le persone LGBTQIA+ sono un’ideologia anziché esseri umani; condanna fermamente la diffusione di tale retorica da parte di alcuni influenti leader politici e governi nell’UE, come nel caso di Ungheria, Polonia e Italia”.
LGBTQIA+ e mondo della cultura italiano
Nel tentativo di ricercare dati sulla situazione lavorativa di persone LGBTQIA+ nel mondo della cultura italiano, non abbiamo trovato elementi che mostrino tale rapporto nello specifico, ma solo numeri di natura generale che, comunque, possono rivelarsi utili per farsi un’idea. Come sottolineato da Parks – Liberi e Uguali, associazione senza scopo di lucro che aiuta le aziende a sviluppare il proprio business per mezzo di strategie e buone pratiche che rispettano la diversità, secondo le stime dell’OMS, le persone LGBTQIA+ rappresentano almeno il 5% della popolazione mondiale, e su 23 milioni di persone che lavorano in Italia, più di un milione è omosessuale, bisessuale o transessuale. Nello specifico, uno studio condotto dall’ISTAT nel 2020-2021 dal titolo Indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ in unione civile o unite in passato, “il 26% delle persone che si dichiarano omosessuali o bisessuali afferma che il proprio orientamento sessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati (retribuzione, avanzamenti di carriera, riconoscimento delle capacità professionali). Il 12,6% non si è presentato a un colloquio di lavoro o non ha fatto domanda poiché pensava che l’ambiente lavorativo sarebbe stato ostile al suo orientamento sessuale. Questi dati sono riferibili solamente a una piccola parte della popolazione LGBT+ (le persone in unione civile o già in unione), il segmento più propenso a vivere il proprio orientamento sessuale in una dimensione pubblica”.
L’arte come strumento per la difesa dei diritti civili
La strada per giungere alla parità di diritti (ma soprattutto al loro riconoscimento) è tortuosa in tutti gli ambiti della vita sociale, politica e lavorativa, e in quest’ultimo campo è incluso anche il mondo dell’arte sebbene, con l’opera e l’impegno di numerosi artisti e professionisti del settore, essa si faccia portavoce di messaggi impegnati e rivolti a scuotere le coscienze. Nel corso del Novecento (e fino a oggi), sono stati numerosi gli artisti che hanno fatto della propria pratica uno strumento per veicolare ideali inclusivi legati ai temi LGBTQIA+: tra tutti ricordiamo Keith Haring, David Hockney, Robert Mapplethorpe, Gilbert & George, Catherine Opie. A livello istituzionale, tra le iniziative e i progetti promossi con tali finalità è l’LGBTQ Working Group del Victoria and Albert Museum di Londra, gruppo di lavoro che attraverso le collezioni del museo esplora le questioni di genere, sessualità e identità, coinvolgendo il pubblico con attività e visite guidate che rileggono la storia da prospettive altre. Restando nella capitale del Regno Unito, il British Museum ha sviluppato all’interno del proprio percorso espositivo ulteriori percorsi a tema LGBTQIA+ – dal titolo Desire, love, identity: LGBTQ histories trail – che vedono protagoniste alcune opere del passato che possono considerarsi “queer ante litteram”: il primo percorso comprende 15 opere (fruibile in 60-75 minuti), il secondo tre (visitabile in 30 minuti), ed entrambi sono accompagnati da una sorta di audioguida disponibile su Apple Music, YouTube Music e Spotify. Le opere sono spesso a soggetto mitologico, come la statua di Ganimede (di cui si innamorò Zeus), i ritratti scultorei dell’imperatore Adriano e il suo amato Antinoo, la rappresentazione della divinità mesopotamica Ishtar, che aveva il potere di assegnare il genere; una coppa da vino di epoca romana che raffigura due uomini durante un amplesso, quasi mai esposta nel corso del Novecento perché in Inghilterra e in Galles fino al 1967 l’omosessualità era illegale.
In Italia si lavora a un Museo dell’Omosessualità
La notizia della nascita del primo Museo dell’Omosessualità in Italia risale allo scorso anno, quando il Consiglio comunale di Torino approva una mozione – con 28 voti favorevoli e 1 astenuto – che impegna sindaco e Giunta alla realizzazione del progetto. Non è un caso che questa iniziativa parta proprio da Torino, città considerata da sempre capitale italiana dei diritti civili: qui è nato nel 1971 FUORI, primo movimento italiano di liberazione omosessuale; nel 1981 il primo gruppo italiano di gay credenti Davide e Gionata, nel 1986 la prima rassegna cinematografica a tema omosessuale Da Sodoma a Hollywood. La proposta di dare vita a un Museo dell’Omosessualità è del 2021, su idea della Fondazione Sandro Penna – Fuori!, presieduta da Angelo Pezzana, ed è sorta in occasione della mostra Fuori! 19710-2021. 50 anni dalla fondazione del primo movimento omosessuale in Italia, esposta al Polo del ’900. La nuova istituzione potrebbe trovare casa nel complesso dei palazzi San Celso e San Daniele, che accolgono già, tra diversi istituti e fondazioni culturali, il Polo del ’900 e il Museo della Resistenza e dei Diritti. Intanto il capoluogo piemontese è tra le città candidate ad accogliere l’EuroPride 2027.
Desirée Maida
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #73
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